Multipaesana a parte

Multipaesana a parte, che come detto, scritto e riscritto grazie al cielo che c’è, questo per scongiurare che anche la sfiga di una eventuale disoccupazione sotto-occupazione e/o precarietà si abbatta su di me, che ci mancherebbe solo questa, mi domando se esista al mondo qualcuno che sia veramente felice del lavoro che fa.
Cioè che apra gli occhi tutte le mattine con la voglia di fare, di produrre, qualcuno al quale non pesi imbarcarsi con una certezza quasi matematica in infinite rogne sempre diverse ma alla fine sempre uguali, in questioni di lana caprina, in scocciature, ritardi, contrattempi, malumori: qualcuno che abbia gioia e voglia di incontrare i colleghi, che trovi sempre sempre lo stimolo e le motivazioni per fare le cose che lo terrano impegnato per le successive otto dieci ore o anche più, trasporti esclusi.
Perchè diciamolo, qualsiasi tipo di lavoro esso sia, sempre quello è, dalla catena di montaggio al pilota di voli intercontinentali, dal dentista al lattoniere, dal travet all’infermiere.
Certo, ci sono lavori oggettivamente più logoranti di altri, o anche fisicamente molto pesanti, ma questo non sembra essere un fattore discriminante.

Mi chiedo se è solo per me che è così pesante e noioso, ma di un no-io-sooooo che mi verrebbe quasi voglia di dare ragione a quel tipetto in loden il quale l’unica giusta che ha sparato è stata quando ha affermato “Mhhh, che noia trent’anni anni lo stesso lavoro, fare sempre le stesse cose”.
A parte che, Mario, adesso gli anni sono diventati quaranta abbondanti, il che fa una bella differenza, la differenza tra il riuscire ad arrivare alla pensione vivo e con un minimo di salute in corpo ed in testa o di andartene prima di vederla, o di schiattare subito dopo, ancora più irritante, o di doverla rigirare paro paro alla badante o a Villa Serena.
E a parte il fatto non trascurabile di dove siano, in questo paese e nell’attuale congiuntura, le alternative per uno che abbia voglia di cambiare, o tentare di migliorarsi, per non cadere dalla padella alla brace.
Senza poi nemmeno volere affrontare la problematica del se ci sarà una pensione dopo aver lavorato praticamente una vita, e di quanto, il che non aiuta certo ad andare avanti avendo almeno quello come obbiettivo, la carota davanti all’asino.
Vero che la generazione dopo la mia questo problema non se lo porrà mai e davvero non potrà mai annoiarsi anzi, saltabeccando da uno stage di due mesi a contratti part-time di quattro-sei mesi quando dice bene fino alla soglia della meno- ed andropausa la massima aspirazione per i trentenni o giù di lì sarà quella di potersi annoiare un po’ in un futuro.

Voglio dire, sono sicura che qualcuno che ama il lavoro che fa ci sarà anche, qualcuno lo conosco e l’ho conosciuto pure io, sempre si trattava di roba dove io sarei schizzata dopo tre giorni.
E comunque la descrizione andava ampiamente nettificata di tutti i rancori, gli astii, i risentimenti e le antipatie con colleghi e superiori, per cui alla fine no, non mi sembrava che fosse proprio una pacchia nemmeno lì.
Certo, forse non sperimentavano la noia e lo scazzo che mi assilla e di cui sto parlando io, ma non ne sono nemmeno certa, che la gente si racconta e racconta pure un sacco di palle.

C’è poi anche un bel po’ di gente che mi da l’impressione di preferire il lavoro alla propria vita, o di non avercela del tutto una vita al di fuori.
Si tratta quasi sempre di uomini, che una donna a prescindere dal ruolo e dall’età avrà sempre un figlio, un cane o lo zio paraplegico dei quali doversi occupare, o la messa in piega da fare, o il corso di Zumba, o un’infornata di cupcakes che aspettano, o un bel libro da leggere.
Ecco, io questa gente che vive per il lavoro non la capisco proprio, si può dire?
E non so nemmeno se siano più sani di me, e se stiano e vivano meglio, che per me è il massimo della disperazione e della tristezza e della vuotezza esistenziale.
E poi, ma la raccontano davvero giusta ?
È davvero sempre necessario tirare le otto nove di sera sabato mattina compreso, o sei tu bimbo mio che hai l’ horror vacui ?

Quindi, spurgata la massa dei lavoratori dalla setta satanica dei work-alcholics, dei quali dovrebbe interessarsi la psichiatria se già non lo fa, cosa che ignoro, e da quelli come me, che con rassegnazione e stoicismo tirano a campare dal lunedì al venerdì, peraltro garantendo a Multipaesana la massima collaborazione, impegno e serietà, esclusi i non pochi disoccupati e sotto-occupati che sinceramente hanno moltissimi e più validi motivi di me per lamentarsi ed essere insoddisfatti, quanti sono quelli che la mattina saltano giù da letto sorridenti ed entusiasti pensando ad un altro molare da estrarre, a dei reports da controllare, al bus da guidare nel traffico cittadino, alle trattative in corso con un potenziale cliente?

Mah….non riesco a credere che siano in tanti, e se sì mi domando dove ho sbagliato, e se con un altro lavoro, il lavoro dei miei sogni, non sarei giunta dopo un certo numero di anni alle stesse conclusioni, che lavorare stanca.

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3 risposte a “Multipaesana a parte

  1. io domattina mi alzerò festante e raggiante… perchè dopo 4 noiose orette di riunioni e menate varie farò ciao ciao con la manina e partirò per la bretagna dei miei sogni 🙂 e pazienza se ad accogliermi ci sarà il diluvio! Anna

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