Morta, sfinita. Oggi pomeriggio libero e/o riposo. Non ho ancora finito con i giri alla discarica, e ne mancano ancora parecchi.
Ma quanta roba inutile si riesce ad accumulare in una vita, in un’esistenza del tutto normale e ordinaria? E quanta ne serve realmente per vivere senza farsi mancare niente e non certo nel lusso? Esiste una risposta a questa domanda?
Quanti vestiti, quante paia di scarpe, quanti libri, quanti oggetti personali, quanti elettrodomestici, quanti accessori per la cucina, quanti vasi per i fiori, quadri, stampe, alzatine per la frutta, ricordini dell’isola d’Elba, dei mercatini moscoviti, ceramiche, lampade e piattini del bric a brac parigino, londinese, praghese? Quanti boccettini, unguenti, creme e cremine? Non riesco ancora a trovare la misura giusta.
Intanto una cosa sulle case però l’ho capita.
Se mai un giorno riuscirò ad avere una casa come la voglio io, e questo è un sogno che forse non sento nemmeno più così mio, sarà / sarebbe fondamentale che avesse un sacco di armadi, possibilmente a muro. Bianchi o panna, ovviamente, liscissimi, senza fronzoli e arzigogoli, perfettamente mimetizzati nelle pareti. Bianche o panna.
Perché quella moda molto Ikea del “tutto a vista”, siano esse borse, vestiti, cappelliere, bigiotteria, scarpe, giocattoli, scatole di Risiko e Monopoli, canne da pesca con retini, provviste e cose da cucina, rotoli di carta igienica con pile di asciugamani é, e mi dispiace assai dirlo perché io amo l’Ikea come la mamma, una grande s t r o n z a t a.
Io in una casa ho capito che voglio vedere in giro solo pochissime cose, che non vuol dire non avercele e vivere come un monaco trappista.
Ho capito che la vista di troppa “roba” mi disturba e appesantisce notevolmente lo sguardo d’insieme, e lo sguardo d’insieme deve fluire leggero senza soffermarsi su nulla e produrre sensazioni di 1) leggerezza 2) armonia 3) ordine 4) luce.
Ho anche capito, essendo stata fino a poco tempo fa una seguace di questa scuola di pensiero del “tutto a vista” che per carità, fa molto vissuto e ggiovane, che se per pulire devo spostare “cose” avrò sempre zero voglia di pulire. Che già normalmente, ehm … ehm … saltami addosso.
Così finirà che odierò quelle “cose”, anche se necessarie e sopravvissute a più tornate di decluttering, poi odierò me stessa e la mia inerzia per continuare a trovare scuse per rimandare le pulizie, poi comincerò a detestare la casa, qualunque essa sia, ovunque sarà nello spazio e nel tempo, siano essi risicatissimi 45 mq come 300 mq abbondanti. Finirà che “casa” diventerà sempre meno piacevole da vivere, poi sempre più disordinata quando a “cose” si aggiungeranno, tra la polvere, altre “cose” orfane di un loro vero spazio.
E alla fine mi ritroverò in una tana di cani, ma nemmeno standoci bene. Infatti: vivendoci sempre con quella sgradevole sensazione di disagio e di incombenze, di “cose da fare” che in me aumenta solo disagio e nervosismo.
Per cui la regola é, per quanto purtroppo non perfettamente applicabile alla mia attuale dimora –> INQUATTARE TUTTO.
Inquattare tutto dietro robuste ante di capace armadio, ante preferibilmente non a vetro e scorrevoli, per non rubare altro spazio, per non lasciarci i gomiti o le ginocchia. Inquattare tutto chiaramente con un criterio, un senso logico, dove e in modo che sia facile e logico ritrovare tutto il necessario all’occorrenza. Ideale all’interno dell’armadio separare tutto con scatole, contenitori e separatori di cui mamma Ikea é assai prodiga.
Sicuramente non è questo il migliore dei modi possibile per trascorrere pochi risicati giorni di vacanza, comunque sempre molto meglio, infinitamente meglio, che andare a lavorare. Che andare a lavorare lá.
Intanto la casa acquista spazio, luce, diventa più comoda e vivibile sembra ancora più grande. E ci sto più volentieri, la vivo meglio, mi ricarica come quando metto il cellulare sotto batteria.
Avrei voluto e dovuto essere al mare io, o in qualche cittadina o città mai vista, come Lubiana, sulla quale ero disposta a “ripiegare” e per la quale avevo anche trovato finalmente un passaggio con Blablacar, mentre a Sarajevo nessuno ci andava direttamente: e di essere ammollata a duecento kilometri da Sarajevo per poi arrivarci da sola con altri mezzi no grazie.
Non sono poi, purtroppo, così avventurosa, ma ammiro molto quelle donne intrepide che vanno dappertutto per il mondo anche senza Valtur e senza fare un plissé. E invidio profondamente nel cuore quelli che tutta casa se la portano in una valigia. Forse anch’io un giorno, adesso ancora non saprei da che parte cominciare.