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I migliori se ne vanno

I migliori se ne vanno, da questo paese intendo. L’ho già visto succedere e, in un caso, mi ha dilaniato il cuore.
Anche colui che chiamo “il volontario” ma che ovviamente ha un nome, che conosco, ed un cognome, che ignoro, ha in progetto, ma molto più che progetto, infatti è una cosa molto concreta che deve solo finalizzarsi nei prossimi mesi, di lasciare Vorkuta e la sua periferia ancor più angosciante, e in generale l’Italia, per trasferirsi lontano da qui, esausto e demoralizzato da questo paese per il quale, come me, non intravede alcun futuro. Meglio detto, lui qui non intravede alcun futuro per se, il paese, lo penso anche io, potrà continuare a campare, in qualche modo, perlomeno le sue istituzioni.

Pronto ed ansioso di cominciare una nuova vita nel Natal, Nord Est del Brasile. Così mi descrive la sua prossima vita che si colloca nel più ampio fenomeno della triste ma inevitabile diaspora italiana dei nostri tempi: meravigliosa natura selvaggia ed incontaminata, ampi spazi deserti, gente semplice e tranquilla, oceano ed infradito trecentosessanta cinque giorni all’anno, forte di un contratto lavorativo con un’azienda (italiana, c’è da dire, ma non quella per la quale già lavora) migliorativo rispetto alla sua situazione attuale e cioè, immagino già da come me l’ha descritta, la solita Multipaesana del cazzo infestata da nipoti, zii e cugini ed incapaci inetti amici di famiglia, nel più tipico stile da Cupola Mafiosa Multipaesana lombardoveneta.
Non saranno rose e fiori nemmeno lá, ma che dovevo dirgli? Resta qui alla periferia di Vorkuta a farti succhiare il sangue da queste ignobili malefiche sanguisughe che ci governano per finire al sesto piano in un condominio degli anni settanta per il quale paghi un mutuo per venti o trent’anni, mentre il giorno te la spassi in una Multipaesana gestita da una famiglia della Sacra Corona Unita lombardoveneta e la sera fai la spesa in un centro commerciale? Tutto questo per avere, forse, tra vent’anni o trenta, ottocento euro di pensione da goderti a Vorkuta? E forse manco quelli?
Per carità, fila via. Un rifugio dei cani lo trovi anche lá, e se non lo trovi crealo tu.
Quel giorno se ti serve ti accompagno io all’aeroporto, e portati via anche un pezzo del mio cuore di cui un piccolo infinitesimale pezzo è rimasto in Brasile un secolo fa. In quei giorni ero così felice da non poterci credere, mi ero comprata pure dei bikini brasileiri, non avevo nemmeno timore a girare da sola per la città, beata incoscienza, che adesso a Vorkuta mi si gela il sangue a parcheggiare la macchina dopo le sei di sera.

Beato lui!! Mi sento già più sola, anche se lo conosco da poco e non l’ho mai visto al di fuori del rifugio.
Anzi, mi dispiace proprio, perché è uno delle poche persone che ho incontrato negli ultimi tempi con il quale il dialogo ed il confronto fluiscono naturali e senza forzature, forse perché anche lui come me, più giovane di me e comunque non certo un teenager, qui si sente assolutamente un disadattato. Anche per via di questo cielo de mmerda, per troppi mesi all’anno.
Per metà romagnolo da parte di uno dei genitori, egli stesso mi ha confessato di essersi sempre sentito fuori luogo in terra padana, e di patire il lungo inverno siberiano lombardoveneto in maniera indicibile. Mi ricorda qualcuno/qualcosa.
Cielo di mmerda che, vorrei far presente, dal giorno del mio post specifico al riguardo è stato azzurro e sereno invece che plumbeo e minaccioso sì e no per ventiquattro ore, e già da quel dì il grigio monocolore imperversava da due settimane. Roba da mandare chiunque al manicomio o dal medico di base a supplicare una fornitura di Seroxtat, anche gli orgogliosamente padani. Almeno per arrivare alla fine di aprile, toh.

Questo, e l’amore per i cani, in particolare per quello che vorrei potesse diventare il mio cane è ciò che me lo fa incontrare ogni volta con piacere e senza la minima ombra, traccia, o sfumatura di quella tensione anche solo remotamente, allusivamente sessuale che sempre di instaura tra un uomo ed una donna dall’età della prima pubertà, anche con il fruttivendolo se gli si sorride una volta di più. Fortunatamente e reciprocamente niente, assolutamente nulla di tutto questo, pronta a metterci le mani sul fuoco.
È anche per questo che non rimpiango affatto i miei venti o trenta anni e i loro ormoni impazziti, è stato incredibilmente estenuante gestirli, addomesticarli, conviverci. Oltremodo inutile è anche stato cercare di tenerli a bada per oltre trent’anni.
Ed è piacevole pascolare i quattro zampe del rifugio parlando con lui di cani, pochi li amano come il mio volontario. Così sto imparando a conoscerli tutti, uno ad uno, nome, età, gusti, caratteri, abitudini, ma è bello parlare anche del più e del meno, e delle nostre vite. Ed è curioso queste vite si siano incrociate casualmente davanti al recinto di un cane, che pure è l’ottava meraviglia del mondo.

Avessi un qualche interesse/talento/comprensione per come funzionano gli impianti di condizionamento, me ne andrei anche io, come farà il mio volontario.
E comunque non in Brasile, perché non è nelle mie corde: essendo solo stata a Rio de Janeiro tanti anni fa, e pur essendo rimasta letteralmente folgorata dalla bellezza indescrivibile della baia nella quale sorge e si è sviluppata, e serbando dei ricordi bellissimi e dolcissimi di quei giorni, non è un paese / un luogo dove penso che potrei integrarmi con facilità. E poi troppo lontano dalle mie radici, anche culturali.
Ah, tempi felici quelli, potessi tornare indietro quanti errori stupidi e madornali non rifarei, in primis quello di scegliere di tornare a vivere a Vorkuta che avevo saggiamente scelto di abbandonare non appena ne avevo avuto la possibilità.
I migliori se ne vanno: infatti io resto qui. Il desiderio di aria e sole però non muore, diventa anzi ogni giorno più forte, si insinua come un forasacco nelle narici di un cane, sempre più in profondità.

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