“Signora, il problema non è tanto quello che mangia, ma quanto ne mangia”, direbbe un dietologo o nutrizionista.
“Escludendo il verme solitario”, direi io, “il problema è che nel 2016 ho sempre fame”
“Signora, il problema non è tanto quello che mangia, ma quanto ne mangia”, direbbe un dietologo o nutrizionista.
“Escludendo il verme solitario”, direi io, “il problema è che nel 2016 ho sempre fame”
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Il libro della Marie Kondo sul magico potere del riordino alla fine l’ho preso pure io, ultima tra gli ultimi, anche se non posso dire di averlo letto (per gli ignari link giù sotto).
L’ho prenotato in biblioteca ed atteso per oltre tre mesi, ritirato con mani tremanti un pomeriggio dopo il lavoro, ne ho letto una decina di pagine una domenica di inizio inverno senza rimanerne impressionata ed avere rivelazioni di alcun tipo.
Poi me lo sono dimenticata sul comodino per tre mesi abbondanti, l’ho riportato di fretta e furia in biblioteca un altro pomeriggio dopo il lavoro, quindi ben oltre la scadenza del prestito, che è il motivo per il quale sono adesso nella lista dei cattivi (stronzi, una mail di richiamo no?)
Quindi non sono un’esperta né una seguace del metodo Konmari, però ho visto diversi video su YouTube su questo tema, anche oltre la Marie, e penso che un bel po’ di cose molto simili, magari più sul generale, me le avessero già dette la mia mamma prussiana e la signora C.
Questi elementari saggi insegnamenti li ho sistematicamente disattesi per tutta la mia vita dai 21 anni in poi, non perché non ne riconoscessi e ne riconosca efficacia, validità e benefici influssi sulla vita quotidiana ma perché sono una pasticciona disorganizzata, scostante. E pigra, e tendente all’anarchia, forse perché patisco talmente quelle otto ore di lavoro che nel tempo libero non tollero altre regole e di fare cose che non mi va di fare, e voglio tempo per la vita, per me al netto dei doveri.
Il disordine c’è l’ho nella testa, dovrei partire da qui, ma la Marie sostiene, mi pare, proprio il contrario.
Non posso però nemmeno dire di non avere mai declutterato alla grande, in discarica mi danno del tu, però si é sempre trattato di fuffa realmente inservibile e inguardabile, di nessuna utilità: faccio invece una fatica bestiale, me ne accorgo ora che ne scrivo, ad approcciare il campo delle cose mie, cioè quelle che ho scelto, comprato e pagato nel corso della mia vita adulta e indipendente.
Vestiti, scarpe ed accessori, libri, oggetti per la casa e la cucina a meno che non cadano a pezzi e che mi stiano proprio male nel primo caso.
Il minimalismo e la tendenza a volere semplificare e ridurre ai minimi termini tutto, che mi viene benissimo e senza fatica nelle relazioni sociali, é una precisa e reale esigenza nata negli ultimi due tre anni, al di là di tutte le mode del momento, e si sta acuendo sempre più. Fortunatamente mi porta ad essere abbastanza consapevole e considerata nel fare nuovi acquisti, ma è quello che è già qui, in questa casa, che non se ne va. Forse perché attualmente non ho problemi di spazio?
Forse perché non mi sono mai perdonata di essermi liberata, anni fa, di un meraviglioso simil-trench verde scuro che sí, mi aveva stufato ma che poi mi è mancato come un primogenito e che passata quella fase avrei indossato ancora per gli anni a venire? E così per diversi altri capi di abbigliamento che dovevano solo riposare ?
Forse perché non riesco a dare un taglio definitivo al passato e c’entrano emozioni, sentimenti? Forse perché mi sembra di dilapidare un piccolo patrimonio ottenuto con il sudore della fronte? Poi, come si fa a campare con solo sei T-shirt per l’estate quando solo di scarpe da ginnastica ne ho una decina e forse più e tutte hanno un perché ?
Eppure, quando penso alla mia vita futura come la vorrei vedo una casa piccola, colori chiari, pochi oggetti a vista, essenziale, ridotta ai minimi termini, molto funzionale, poco spazio ma sapientemente sfruttato (ehm, toh, l’esatto contrario di dove sono adesso). In quella casetta nonsodovenonsoquando tutta la mia roba ed io non ci stiamo, un dato di fatto, e manco ce la vedo.
La Marie è stata comunque un genio ad intercettare o cavalcare l’onda, mi sta simpatica e la rispetto come rispetto ed ammiro persone che riescano a trasformare un interesse o una passione personale in un lavoro o in una lucrosa attività. Figlia del suo tempo, chiaro che negli anni ottanta e per buona parte dei novanta non se la sarebbe filata nessuno.
Non terminerò il suo libro però, in futuro magari.
Vorrei solo capire perché tutta questa fatica a lasciare andare dei beni materiali, questo attaccamento, questi ancoraggi, le mie resistenze, ma non credo sia lei a potermi aiutare. Sento che ha che fare con qualcosa di più profondo, forse di doloroso.
La Marie dice di tenere solo le cose che fanno star bene, che dan gioia. Allora forse tutta questa roba serve davvero, mi fa stare bene, non è superflua, è solo male riposta, distribuita ed organizzata. Probabile.
Oppure ostacola se non impedisce il cambiamento, di uscire dal bozzolo, di diventare quella farfalla leggera che da piccola pensavo sarei diventata. Perché non è che mi rimangano altri cinquant’anni.
Certo è che è una fatica immane gestirla, pulirla, tenerla in condizioni decenti, tutta questa roba.
Vorrei davvero solo capire.
Che sia estate o che sia inverno da noi, in ufficio, grazie ad una poco intelligente disposizione scrivanie in un wannabe modaiolo openspace del casso mal pensato e mal sfruttato, manco ci si riesce a mettere d’accordo sulla temperatura ambiente. Figuriamoci sul resto. Ognuno ha teorie ed esigenze diverse e particolari, spesso non conciliabili.
Così, se va bene, solo le mezze stagioni non si traducono in una giornaliera prova di forza, fisica, oltre che mentale.
Però, quando la sera a casetta si devono rimuovere i pantaloni semifusi come fossero striscie depilatorie, direi anch’io, ecologista e naturalista quanto basta, riciclatrice compulsiva, iscritta al WWF all’età di anni sei, che si potrebbe pure accendere un filino di aria condizionata, specie al pomeriggio. Almeno a giorni alterni, in una normale alternanza democratica.
Purtroppo l’unico che so segretamente sposare la mia tesi é un somministrato non più giovanissimo che non osa palesare la sua sacrosanta opinione per timore di rappresaglie e per amore del quieto vivere.
Ci capiamo con gli sguardi, noi.
Io, comunque, qualche sura del Corano prima o poi me l’imparo, la memoria ce l’avevo buona.
Male certo non fa.
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Son dall’estetista, di prima mattina, parecchie ore prima che arrivi quel fenomeno del ragazzetto dell’agenzia.
Costei, che conosco e frequento da qualche anno, in verità non molto assiduamente, mi racconta come già in passato di un suo fratello che vive da diversi anni in Spagna, prima Barcellona poi Baleari. Felicissimo. Non tornerebbe mai e poi mai in Italia.
Nella cabina accanto un anziano signore (sí, signore) racconta di sua figlia che vive da qualche tempo alle Canarie.
La seconda, o “bocia” dell’estetista capa / titolare, é sudamericana ma ha vissuto alle Canarie per un paio di decenni, e le isole e la vita di laggiù le mancano terribilmente. La Spagna va fortissimo.
Vado in posta a spedire quella fottuta raccomandata che certifica che non posseggo apparecchi atti alla ricezione di segnali televisivi etc. etc. e un anziano signore, a Vorkuta sotto i trenta sono mosche bianche, racconta con orgoglio di un figlio brillantemente laureato in &€@€@ e che, prima con il dottorato e poi per lavoro, vive oltralpe da tot. tempo. La figlia femmina più giovane seguirà a breve.
Ho capito, qui rimarremo solo noi babbioni tra i quaranta e i cinquanta, troppo vecchi per espatriare e tentare la fortuna, troppo giovani per sciamare adesso da festosi pensionati tra gli scricchiolii di artrite e dentiere.
Buoni nemmeno per farci il brodo.
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Alle quattordici del sabato pomeriggio come convenutosi, puntualissimo, arriva lui.
Molto giovane, così giovane che potrei essere sua nonna, se solo mi fossi assai precocemente riprodotta e altrettanto precocemente riprodottasi la mia prole.
Mostro casa, dentro, fuori, annessi e connessi. Ne vanto e tesso le lodi. Un po’ svogliata, che negli ultimi giorni é una processione di gente con i pezzini per prender nota ed il biglietto da visita, e sono anche stufa di averceli tra i piedi.
Perché sí, sono passati due anni (come due ore) e io sto ancora qui. Invenduta (la casa).
Ad un certo punto mi chiede*: “ma lei, signora, perché vuole venderla?”
Ed io, che non sono una commerciale nata (anche se in altri tempi per un paio di annetti ci ho pure campato) e che ho un carattere brutto, ma brutto proprio, e che probabilmente sono anche un’assai brutta persona gli ho risposto: “perché la vendo sono affari miei, sta di fatto che è in vendita, solo questo deve interessare”.
Giovani occhi sgomenti e dita nervose.
Dopo avere anche negato un mandato esclusivo alla sua agenzia mi verrebbe da ridere fosse lui quello che mi porta dal notaio.
* cmq del tutto inopportunamente e poco professionalmente, ritengo.
Segnali di cauto ottimismo per il mio sgangherato paese.
Stamattina, quando sono andata a votare per il referendum, mi è sembrato che ci fosse un discreto movimento intorno e dentro al seggio elettorale.
L’ultima volta che sono andata a votare, si votava per qualcosa che non ricordo, era intorno a febbraio e nevischiava e faceva un freddo barbino, il viavai mi sembrava più o meno lo stesso: era sicuramente dopo il 2011, ma i ricordi sono annebbiati.
Ricordo però benissimo per chi ho votato, e una delle poche certezze che ho ora nella vita insieme al fatto che il blu navy mi doni più del nero e che mi piaccia molto andare in bicicletta, tra miriadi di dubbi vecchi e nuovi, è su chi è che cosa non apporrò mai più la mia crocetta.
Sono molta contenta di avere fatto oggi il mio dovere da cittadina, poi vada come vada.
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You never get a second chance to make a first impression, dicono gli anglosassoni, ovvero la prima impressione è quella che conta. “A”, chiamiamola.
Io, sulle persone, spesso mi ricredo, e l’opinione iniziale “A” non di rado si trasforma in una diversa, condizionata e messa alla prova dall’esperienza, dalle contingenze, dall’evoluzione del tipo di rapporto, di qualsiasi tipo esso sia. “B”, “C”, “D” etc etc, chiamiamole.
Poi, per alcuni oggetti di questo personalissimo studio empirico, inevitabilmente arriva un punto, quasi mai suscettibile di ulteriori variazioni, ovvero il mio punto di non ritorno, in cui devo far marcia indietro, e ritornare all’idea originaria, “A”. Quella più semplice ed immediata, quella di pancia più che di testa.
Una settimana esatta passeggiavo in un negozio della Benetton rovistando tra gli ultimi saldi (e gli scarti di magazzino) quando ha cominciato a insinuarsi nelle mie orecchie un motivetto accattivante che sentivo in sottofondo.
Sono uscita senza i pantaloni che cercavo, e che non ho mai – o ancora – trovato, continuando a canticchiare quelle parole facili facili che, ne avevo la certezza, sarebbero anche state nel o il titolo del pezzo, brano a me del tutto sconosciuto, mai sentito prima. Se non mi fossi trovata in mezzo alla strada avrei anche accennato qualche salto e sculettamento.
Arrivata a casa la prima cosa che ho fatto è stato googlare “Heartbeat”. Così ho capito che è quel gran bel figliuolo di nome Enrique che la cinguetta, figlio di colui che lasciava valigie sul letto prima di un lungo viaggio, insieme a quella languida e sensuale gattona della Nicole ex Pussycat Dolls. Il video mi fa un po’ ridere, devo dire.
Da quel dí continuo a canticchiarla, in ogni momento della giornata, e ad azzardare goffi e sgraziati passi di danza come la piccola Olive di Little Miss Sunshine, rivisto ieri con tanto piacere e sempre il sorriso sulle labbra come quando lo vidi per la prima volta al cine tanti anni fa.
Non so di che anno sia, magari é già di qualche stagione fa, ma so che sarà il mio tormentone della primavera estate 2016, e che tutt le volte che la sento, diverse volte al giorno, mi partono le gambe, il bacino, le anche. E non è osteoporosi.
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dall'altra parte del mondo
Inseguendo il sole dentro
Mindfulness per la vita quotidiana e per il lavoro
idioteque hysteria i something
E’ un’illusione che le foto si facciano con la macchina… si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa. (Henri Cartier-Bresson)
LA VITA ALL'OMBRA DI UNA PALMA
Obiettivo: organizzazione! Voglio avere una casa ordinata, pulita e mia, a basso costo e col massimo rispetto dell'ambiente
Da Manchester a Siena, senza paura!
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A notebook on my life in Copenhagen