Archivi del mese: aprile 2014

Perseguitata da Sky

Solo negli ultimi giorni:

24 aprile, ore 19:21
28 aprile, purtroppo orario non rintracciabile
29 aprile, ore 15:49
ancora 29 aprile, ore 20:09
30 aprile, ore 19:22

0291973880, un numero che temo come la cartella della Tasi Tares IUC ex IMU fu Ici.
Grazie al cielo l’applicazione Calls Black List fa il suo egregio dovere, tutte chiamate stoppate sul nascere.

A quei simpatici perditempo* di Sky che per carità, fanno il loro lavoro: non ho un televisore e non prevedo di avercene uno per, almeno, i prossimi cinque anni, * ho cominciato a dirvelo che era il Natale 2012.

Al Maresciallo della Stazione dei Carabinieri di Vorkuta: ci sono gli estremi per fare denuncia di stalking telefonico, visto che io questi signori li ho già invitati più e più volte in passato a LASCIARMI in PACE?
Verrò a trovarla presto.

Nel frattempo, se squilla il telefono e si vede comparire questo numero, che si sappia, servizio commerciale Sky, magari a qualcuno può interessare o fare piacere.
A ME NO, dopo n. volte non fa più neanche sorridere.

Ed avrei io una domanda per Voi: da chi avete avuto il mio numero di telefono, del cellulare per giunta, visto che io mai vi ho cercato, e prima avevate anche il vecchio numero di casa?

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Cose per le quali tutto sommato oggi vale la pena esserci

Perché per ben tre giorni di fila, dico tre, non andrò e non vedrò Quel Posto che non oso nominare, non ci penserò, non ne sentirò l’odore, non incrocerò loschi figuri nei corridoi.

Perché il primo di questi giorni di Pacchia Universale mi ha svegliata dopo un buon sonno ristoratore e dato il benvenuto con un tiepido raggio di sole.

Perché sono schizzata fuori dal letto senza indugiare e ho fatto le cose che mi ero ripromessa di fare, tra le quali una procrastinata da anni ma assolutamente necessaria: il trattamento anti tarlo ad alcuni mobili antichi, che la notte non sopporto di sentirli rosicchiare e sapere che c’è qualcuno che fa festa in casa senza essere stata invitata.
Eh, sì, uno sballo di giornata, tale e quale essere a Capri a fare i bagni di sole per poi buttarsi in una spa a sei stelle, però questa cosa mi ha dato soddisfazione, più che altro sapere che finalmente me la son tolta di mezzo per un altro paio di anni.
Poi mi toccherà la sudata vera, il trattamento con la Cera Ambra, per tirarli belli a lucido come fossero dei giovincelli.

Perché, anche se ci ho impiegato una mezza mattinata con due mezzi moccoli lanciati a finestre aperte, sono stata due volte sul punto di desistere, ovvero re-impacchettare e caricare il tutto in macchina insieme alle altre cose da portare in discarica domani, sono riuscita a montare l’innocuo, carino, economico, e soprattutto comodissimo stand appendiabiti Ikea Rigga, e sono molto molto soddisfatta del risultato e della sua praticità.

Parentesi, Signori dell’ikea, su quei maledetti fogli delle istruzioni qualche volta metterci anche due parole di spiegazione insieme ai laconici disegnini no, eh?
Il mondo là fuori é pieno di femmine che se la devono smazzare tutta da sole, non sempre noi femmine italiane a differenza delle vostre svedesi siamo in grado di riconoscere una vite da un bullone, e non possiamo trovarci un fidanzato o un marito solo per farci montare i vostri mobili ed aggeggi, né mendicare sempre favori a destra e manca.
Se con Rigga alla fine ce l’ho fatta, e giuro che a vederla in foto sembra più facile di quello che è, ho ancora qui sul groppone due cassetti per il guardaroba Pax che non so più da che parte girarmi, temo dovrò chiedere aiuto a qualcuno meno inetto di me.
Io quei due cassetti dovrei e vorrei tanto riempirli. Vi serve qualcuno che vi scriva i testi?

Perché aspetto con ansia le ore sedici, l’orario perfetto in cui il sole bacerà il mio terrazzo. Alle ore sedici, in teoria rischiando meno di scottarmi e comunque unta e bisunta di crema protezione solare fattore 50 come dovessi finire in padella, potrò catafiondarmi sul lettino in canotta e pratici shorts di felpina (LIDL, offertona della settimana, 4,99€) a finire di leggere un libro.
Facilmente degenererà in pennica, vista la pesante mattinata. Ottimo.

Perché, e questa è un’altra cosa gigantesca, anche sul terrazzo c’è una buona ricezione del segnale wifi, e il modem sta tutto da un’altra parte, e anche bello lontano. Ti amo, Infostrada!

Perché, ha dell’incredibile, nelle prossime settimane due grossi personaggi di fama realmente internazionale del mondo della cultura oseranno metter piede a Vorkuta per una serie di incontri gratuiti ma su prenotazione, e io ho già i biglietti in mano.
Fa strano sentire l’accoppiata “odiata Vorkuta / cultura”, di norma due parole che non potrebbero coesistere nella stessa frase, ma un paio di volte all’anno ebbene sí, succede.
Troppa grazia.

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Confermo, é molto facile regolare l’altezza dell’appendiabiti Rigga, ma non servirà a molto se non riuscite a montarlo.

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Archiviato in Craps, Ho un'opinione su quasi tutto (ed accetto possa non essere condivisa, con garbo), Outlet valve

È così

Mi faccio paura, la mia insofferenza e intolleranza hanno raggiunto livelli stratosferici mai nemmeno sfiorati in precedenza, non sopporto più niente e nessuno, e non sono affatto stanca di vivere, però stanca sì e vorrei solo essere lasciata in pace.
In alternativa vorrei che un sacco di cose fossero diverse, o una vita che non sia la mia, in tutte le altre esistenze mi pare ci sia più sole, più gioia, più luce.

Vorrei non dovermi più svegliare al suono della sveglia, vorrei non dovere avere dei doveri, che suona anche cacofonico, e per doveri intendo anche solo passare l’aspirapolvere o avviare una lavatrice, robe che ultimamente mi pesano e stancano come scalare l’Everest senza ossigeno.
Vorrei non dovere più lavorare, tanto per cominciare, magari non per sempre ma anche solo un bell’anno sabbatico, per me, per riflettere, per rigenerarmi, cellule e pensieri, per riposarmi.
Ma vivo in Italia e il concetto è sconosciuto.

Non sopporto più il rumore delle chiacchiere di certe persone, fiumi di parole che mi stordiscono e oramai annoiano a morte, non riesco nemmeno più a seguire il filo dei loro discorsi, perchè i loro discorsi non mi interessano.
Le persone che esisto perciò mi devono mandare tutte le catene di sant’Antonio e tutti gli appelli per salvare l’umanità di questo mondo, e auguri uguali per tutti per tutte le santissime feste cristiano cattoliche segnalate sul calendario, quando è risaputo ed ho ribadito più e più volte che sono atea e agnostica dall’età di cinque anni e, casomai, molto interessata ed attratta dal giudaismo.
E inoltre, vista la particolare situazione personale che non sto a spiegare a me tutta questa enfasi da vvolemose bbene delle varie Festività mi pare ed è sempre parsa anche assai indelicata, nei confronti di molti, però non sanno leggermi un pensiero o un’emozione in faccia e non capiscono quando sto male.

Quelli che sono così evidentemente clinicamente depressi che nemmeno se ne rendono conto (e che mi fanno più paura di tutte gli altri perchè, in fondo, temo di essere come loro, o di essere sulla buona strada per diventarlo) e che aggiungono solo piombo e pesantezza vomitandomi addosso, senza che nessuno glie l’abbia chiesto, tutto il loro malessere, le loro frustrazioni, la loro stanchezza, il vuoto che li inghiotte, gli insignificanti dettagli pratici della loro esistenza minuziosamente descritti come in un racconto kafkiano.
Quelli che pare vogliano trascinarmi nel loro baratro senza offrirmi una speranza di salvezza, un appiglio, uno spiraglio, e senza essere minimamente propositivi, che in due magari se ne esce meglio, magari anche solo con un “iscriviamoci ad un corso di yoga” per esempio, mentre io ancora resisto e mi aggrappo a piccole cose prive di significato e probabilmente anche di spessore e umanità, cose che però mi piacciono e mi tengono in vita, fosse anche solo la recente scoperta di Pinterest e la voglia di fare un weekend lontano da qui, o di indugiare nei ricordi, e condividerli con loro, che almeno di questo i depressi se ne intendono, nostalgia, malinconia, rimpianti.

E non è che nella mia esistenza di cuor contenti ne abbia conosciuti a bizzeffe, tranne non so perchè i miei “fidanzati”, tutti così solari, socievoli, positivi, entusiasti della vita.
Non sono affatto una bonacciona con il sorriso stampato in faccia, non lo sono mai stata, ma almeno una volta fino a poco tempo fa con i disadattati miei simili ci si si rideva sopra, si prendeva in giro il nostro pessimismo cosmico, la nostra sfigataggine, adesso nemmeno più questo.
Non so da quanto non mi faccio una sonora sguaiata risata, ne avrei bisogno, solo sorrisi sarcastici o irritati.

Purtroppo io e queste persone che non portano alcuna leggerezza in questo momento non ci possiamo proprio aiutare in alcun modo, primo perchè non si può salvare chi non vuole essere salvato, secondo perché non sapremmo come, terzo perché non ne avremmo la forza, le energie.
Già io stessa vorrei (e dovrei) essere salvata, ma non si intravedono benefattori e cavalieri su destriero bianco all’orizzonte.
E l’ultimo che mi è sembrato e presentato come tale si è defilato da non molto, anche grazie al mio aiuto, e del resto ho sempre constatato e saputo che, come recentemente affermato da uno dei più grandi pensatori nostrani contemporanei, tale Rocco S., “l’uccello non vuole problemi”.

Ecco, a questo sono arrivata, che sono stanca stanchissima di tutto, che vorrei solo dormire, dormire, dormire, e scappare lontano, e non è colpa di nessuno credo, sia chiaro, se non mia, se io da qualche mese sto assai meglio da sola, che almeno una sorta di sgangherato equilibrio lo trovo, e soprattutto una grande pace.
Adoro e venero il silenzio.
Una “cosa” così non mi era mai capitata prima, se non per pochi giorni di fila.
Ho anche il timore che non sia passeggera, e non c’è verso che cambi se non mi darò io una mossa per modificare questa situazione, e non è detto che ci riesca.
Mi è purtroppo oramai evidente che questa insofferenza è di ampio raggio ed investe tutti i settori.
Il giorno che mi sveglio, se succederà, avrò da rimboccarmi le maniche.

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Voglia di

Voglia di cambiamenti radicali.
Sarà che traslocare, anche se non esattamente dall’altra parte del mondo, sprigiona nuove energie, o così dicono, ma quando hai ronfato per ventidue anni di fila in un letto vedendo sempre la stessa parete e la stessa finestra, assuefacendoti a certi rumori, colori, suoni, odori ed abitudini, anche aprire gli occhi su una finestra diversa e risvegliarsi al cinguettio degli uccelli invece che al chiasso dei vicini offre una nuova prospettiva del mondo.
Poi saranno la primavera, il risveglio della natura, i fluidi che si rimettono in movimento, gli smottamenti ormonali, sarà che più che primavera pare estate, sarà che sono una figlia della primavera, sarà la nuova compagine lavorativa, ci siamo liberati dal peso morto del Racc. de Luxe che ha lasciato più rovine e cenere della calata di un esercito di lanzichenecchi, per l’occasione ho stappato la mia prima bottiglia di champagne, e il nuovo arrivo pare stranamente promettente e non infame e questo è davvero singolare ed insolito.

Sarà il decluttering mentale e umano che sto portando avanti per una decisione interiore che pare irreversibile, riorganizzazione e semplificazione dei flussi ed investimenti emotivi molto più dettata dalla pancia che non dal cervello, sarà tutto questo, ma io sento il bisogno di un cambiamento di vita radicale, di allargarli ulteriormente questi orizzonti, altro che cambiare finestra e visuale.
Io vorrei proprio vedere un altro paesaggio, incontrare altre facce la mattina, udire miscugli di lingue non necessariamente conosciute o riconoscibili, camminare per strade che non conosco, entrare in negozi dove non sono stata, inziare uno sport al quale non mi sono mai avvicinata, incontrare nuove persone con una stessa visione del mondo, lo stesso approccio alla vita, gli stessi interessi, mentre già da qualche tempo non è più così, anzi provo una certa insofferenza e estraneità verso quasi tutti.
E un leggero senso di colpa per questo, ma nemmeno tanto.

Avverto le stesse spinte fortissime che mi hanno portata tanti anni fa a lasciare Vorkuta per una capitale inseguendo il sogno di un lavoro, e chiaramente non solo di un lavoro, e per fortuna non vivo con il rimpianto di non averlo fatto, almeno quello.
L’ho fatto, con l’incoscienza e l’ottimismo dei venti e poco più anni, senza pensare al domani e alle conseguenze delle mie azioni, cosa che adesso purtroppo mi riesce più difficile, anche perchè tutto sommato non avevo molte altre scelte: contrariamente a quanto si crede nemmeno allora la gente ti correva appresso per offrirti un lavoro che fosse di tuo totale gradimento e consono alle tue aspettative, e io non volevo marcire in un ufficio in mezzo alle carte come sto facendo adesso, da troppo tempo.
Già allora Vorkuta mi sembrava triste, grigia, morta.
Non mi sembrava, lo era, lo è.

Sarà che, in mancanza di problemi e preoccupazioni oggettivamente più serie, che conosco e che non voglio affatto sottovalutare, e finchè si ha la salute, un lavoro, un tetto sopra la testa e due gatti per i quali conti qualcosa, a prescindere dal tipo di legame, con e in assenza di parentele, in linea di massima non è giusto lamentarsi sempre e sfidare troppo la sorte, tutto vero, tuttavia trovo che una degli agenti più corrosivi nell’esistenza di molti individui sia la noia, la routine, la mancanza di stimoli, sentire che la vita ti scorre tra le dita come acqua o come sabbia, che è già tutto tracciato, vivendo una vita che non ti pare la tua, che forse nemmeno ti sei scelta.
Gutta cavat lapidem.
Questo secondo me spiegherebbe lo sclero che si verifica a cominciare dai 40 anni in poi, spesso anche prima, e che si manifesta in tali e tante forme e modalità, innocue o meno, che mi è impossibile elencarle tutte.

Capita che io sia uno di quegli individui nei quali si manifesti in forma relativamente innocua ma circolare, come una pentola di fagioli che borbotta sempre e, in ogni caso, il peso di eventuali scelte sbagliate o avventate e di colpi di testa ricadrebbe solo ed esclusivamente su di me.
Succede anche che tutte le persone che conosco, coetanei e anche gente più giovane, si lamentino esattamente della stessa cosa, della stessa identica necessità di un cambiamento, di quanto sia logorante una vita che si ripete giorno dopo giorno uguale a se stessa, secondo uno schema oramai arcinoto e che non prevede variazioni.

Ammiro, ma non comprendo, la gente che riesce a starci dentro, che non si pone il problema, che non ci soffre, che non sogna, che non pensa potrebbero esistere altre vite.
Al di là dell’età anagrafica forse gente più matura di me, ma non sono nemmeno sicura sia una questione di maturità, quanto di nature diverse.
Per quanto mi riguarda una profonda esigenza, la curiosità, la voglia di riprendere un percorso di vita assai assai più global e meno stanziale interrottosi precipitosamente intorno ai trentanni, un bisogno di nuovi inizi, di nuove partenze, di qualcosa di nuovo, di freschezza.

Potrei, per esempio, cominciare a mandare qualche cv, che ne so, a Berlino, o a Bilbao, tanto per rompere il ghiaccio. Potrei, certo che potrei.
Potremmo tutti, noi pentole di fagioli.
Manco il costo di un francobollo, basterebbe premere qualche volta il tasto invio.
Non so se sia più la paura che non mi si fili nessuno manco di pezza, come altamente probabile, o che qualcuno si faccia vivo sul serio.
E chissà se un giorno poi la mia routine mi mancherebbe, e le mie piccole certezze quotidiane.

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I Fondamentali di una generazione, parte seconda

Dimenticati, ma non per questo meno Fondamentali: l’abbonamento al Corriere dei Piccoli, a il Giornalino, i volumetti de il Manuale delle Giovani Marmotte, il Manuale di Nonna Papera e, purtroppo, la comprensione già in tenera età di non avere alcun talento in cucina, interesse e curiosità sì, ma fondamentalmente già sapere di essere e che sarei rimasta una pasticciona senza regole, tutta improvvisazione e zero pazienza, il film a cartoni animati degli Aristogatti con Romeo er mejo der Colosseo, i cartoni di Sturmtruppen e il relativo diario scolastico, quelli di Titti e del Gatto Silvestro, Carosello e a letto subito dopo Carosello, tranne il sabato sera, la sigla dell’Eurovisione, i Giochi Senza Frontiere, lo scossone del disastroso terremoto del Friuli avvertito anche qui, e la paura che mi è sempre rimasta addosso, le statuine e i manufatti con il Das fatti a scuola e nel tempo libero e sempre ripassati con il Vernidas, i lavoretti di bricolage con le mollette da bucato di legno, il presepe con il muschio vero, i ruscelli di carta stagnola e i Re Magi da fare avanzare ogni sera in direzione della capanna, le statuine e la capanna riposti avvolti nella carta da giornale in una scatola di legno contenente del vino, regalo di Natale ai genitori, aprire l’Atlante e sognare di visitare posti e luoghi mai sentiti nelle lezioni di geografia, pensare di essere speciale e che la vita avrebbe regalato e portato solo cose speciali e belle, non sapere cosa è la noia, ogni primo giorno di scuola con i quaderni e i libri ricoperti di plastica colorata e il diario ancora intonso, e la promessa che li avrei tenuti in ordine e senza orecchie, le matite colorate tutte appuntite ancora in bell’ordine dentro l’astuccio, la maestra Gisella con i baffi e la maestra Severina, la cameretta nuova tutta bianca e con la tapezzeria carta da zucchero da tenere in ordine, la pianola della Bontempi sulla quale strimpellare Stille Nacht e il già citato ed epico Montagne Verdi, gli aeroplani che sorvolano le spiagge d’estate con gli striscioni pubblicitari, il pallone gonfiabile bianco e blu della Nivea per giocare in mare, il canotto a remi per farne una pelle in mare, le insolazioni, regolari tutti gli anni, un po’ di lentiggini sulla faccia ma solo d’estate, i ghiaccioli e la gassosa al bar del Bagno prescelto ma rigorosamente solo dopo il bagno in mare, il Manuale del Trapper prestato prima ancora di iniziare a leggerlo e mai più restituito, gli zoccoli del dr. Scholls per andare in spiaggia, i bulbi di tulipano e di dalie ordinati in Olanda alla Stassen, la cioccolata con la panna le domeniche pomeriggio d’inverno in una pasticceria del centro, la paghetta settimanale, piangere scoprendo che la carne che si sta mangiando il giorno di Pasqua è quella di un agnello, di un cucciolo, le lezioni di applicazione tecnica, maschi a fare lavori di traforo con il compensato, le femmine a lavorare a maglia (bende da mandare alle missioni per i lebbrosi, sic), sognare la bici da cross e non potere averla, il Meccano, gli sci rossi della Spalding lunghi quanto me con il braccio alzato più una spanna, cioè lunghissimi, perciò non imparare mai a sciare ed averne anche paura, odiare la calzamaglia di lana sotto la tuta da sci che prude e pizzica da morire, il carbone dolce per i bambini cattivi che era la cosa più buona che potessi sognare, Loretta Goggi col caschetto biondo che balla e canta benissimo e fa delle imitazioni che oggi se le sognano, Gino Bramieri che racconta le barzellette, Walter Chiari e Alighiero Noschese, le annunciatrici della TV con la collana di perle e le punte dei capelli girate all’insù che sembrano le zie, le canzoni degli Abba introdotte da un cugino più grande uomo di mondo che era stato a Londra nella lontanissima Perfida Albione, wow, Sodoma e Gomorra per un’innocente mocciosa di Vorkuta, scoprire che è bello andare a pescare perché non si fa nessuna fatica e si sta in posti bellissimi e silenziosi ma avere schifo di mettere l’esca sull’amo, e qualcuno di grande che la mette per te, ovviamente non beccare mai manco un pesce, odiare andare in piscina due volte alla settimana per il cloro negli occhi, per l’acqua gelida, gli istruttori cattivi e perché ci devi andare a tutti i costi perché il nuoto fa bene ed è lo sport più completo, sognare invece di diventare una grande ginnasta ed esserne completamente negata anche ma non solo per via dell’altezza, i carciofi alla Giudea e gli gnocchi alla Romana, pietanze quasi esotiche nella Vorkuta degli anni 70, ma molto apprezzate e ricorrenti in questa casa.
Poi guardarsi indietro un sacco di anni dopo e scoprire, in fondo, di essere rimasta quello che eri, ma che non hai realizzato i tuoi sogni e che la vita che conduci è completamente diversa da quella che pensavi avresti avuto, e a volte desiderare così intensamente di cambiarla tanto da essere disponibile a mandare tutto a carte quarantotto.

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LIDL

Da qualche settimana faccio tutte le mie spese alimentari alla LIDL dalla quale mi sono a lungo tenuta volutamente ed accuratamente alla larga.
Dopo la brutta esperienza di un forte malessere sofferto anni fa per aver mangiato una busta di loro verdure miste surgelate fatte saltare in padella provavo ribrezzo solo a sentirne il nome, o nello scorgere il giallo blu delle loro insegne.
Compro alla CONAD del villaggio/paesucolo nel quale lavoro solo cose strettissimamente necessarie, ad es. quando scopro che ho proprio finito il dentifricio, yogurth da tenere in ufficio, tranci di pizza o frutta fresca per la pausa pranzo etc etc., davvero poca roba.

I motivi di questa scelta e impegno formalmente preso con me stessa di fare un periodo di prova con LIDL, vedere come mi trovo e monitorare quanto spendo, e quanto meno di prima, sono diversi.
Il primo è perché non mi dispiacerebbe, anzi sarebbe proprio auspicabile fare un po’ di spending review, e qui sono ovviamente attiva su diversi fronti aprendo il portafogli con molta più oculatezza che nel passato, e dopo attente riflessioni e comparazioni.
Il secondo è perché mi piace cambiare, provare, sperimentare, confrontare.
Il terzo perché mi piace vincere i miei pregiudizi e ricredermi (e confesso che dopo l’episodio di cui sopra ne avevo diversi, e qualcuno ancora ne ho), e non ho problemi nel riconoscere di aver fatto delle valutazioni sbagliate.
Il quarto perché è giusto dare a chiunque una seconda possibilità (la terza è da fessi però), il quinto è perché non sono mai stata totalmente soddisfatta dei posti dove mi recavo di solito, con amori improvvisi e repentini abbandoni in puro stile Ariete, il sesto perché mi è logisticamente comodo, abbastanza vicino, è facile l’accesso e trovare parcheggio, il settimo è perché me la cavo sempre abbastanza in fretta, magari non di sabato pomeriggio, ma quello ovunque.
L’ottavo motivo è che oggettivamente LIDL é parecchio migliorata nella qualità e nell’offerta.
Il nono motivo é molto recente, ne parlavo ieri sera a cena da due amici, anche loro ci si sono avvicinati con delle cautele e riportano esperienze sino ad ora prevalentemente positive.
Nonostante per loro il punto vendita di zona sia più lontano e scomodo da raggiungere, cercano di andare alla LIDL quanto più spesso possibile riconoscendo che il risparmio é evidente, palpabile, notevole, e per diversi prodotti provati non a discapito della qualità.

Quindi, rassicurata e ringalluzzita dal fatto di pensarla sostanzialmente allo stesso modo, con delle precisazioni da fare e che farò più avanti mano a mano, stasera mi ci sono rifiondata per riempire dispensa e frigorifero parecchio sguarniti.
Quello che, tra le altre cose, ho comprato, e si tratta in questo caso di prodotti già conosciuti e testati in queste settimane, e che mi hanno lasciata totalmente soddisfatta:

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Ottimo pane da tenere sempre nel congelatore, anche senza microonde si scongela in breve tempo, comoda la confezione, perfettamente OK mi sembrano gli ingredienti, semola di grano duro, acqua, lievito naturale, sale.
Trattato con alcol etilico, da far inorridire i puristi, ma succede a tutti i pani industriali confezionati, l’alcol è antimicrobico ed impedisce la formazione delle muffe.
Buono il sapore, la consistenza, la freschezza.
Esiste anche la versione alle olive che non è male ma io preferisco questa senza e, non vorrei sbagliarmi, una versione integrale, forse la prima che ho trovato e provato.
Ottimo il prezzo di 1,49€ a confezione per 450 grammi, viene prodotto da una società cooperativa agricola siciliana, della provincia di Enna.
Una confezione mi dura una settimana.
Meglio del pane della storica e fidata panetteria del centro cittadino, se non rimpiazzata da una kebaberia? Meglio del pane che abili mani di Gran Donna di Casa impasterebbero con pregiate nobili farine biologiche, acqua di fonte e paste madri auto prodotte? Ovviamente NO.
Paragonabile a, se non forse meglio, di altri pani confezionati da supermercato, anche quelli di brand famosi dall’irritante pubblicità con casali ristrutturati da tre milioni di euro, bambini biondi e marito manzo? Per me SI.
Una confezione da 400 grammi di pane confezionato pre-affettato di questo brand molto noto in realtà costa più o meno lo stesso, a seconda dei supermercati e delle zone, però sa molto meno di pane, é molliccio, non ha consistenza, qualcosa che ho mangiato per anni ma che ho sempre fatto fatica a definire pane.

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Pistacchi californiani, confezione da 500 grammi, 5,99€. Beh, i pistacchi sono cari, ma non si può vivere senza pistacchi.
Confezione molto bella esteticamente ed elegante, un po’ carente di informazioni.
California dove? Confezionati dove, sempre in California? Per favore, diteci qualcosa.
Premesso che non ho mai provato i celeberrimi pistacchi di Bronte che devono essere eccezionali ma sono difficili da reperire a Vorkuta, e comunque costosissimi, nel primo sito a caso che li vende, googlando, 18,50€ a pari peso dei miei LIDL, questi sono in assoluto i migliori pistacchi che abbia provato.
E al riguardo ho accumulato una discreta esperienza visto che di pistacchi sono fanatica e ne acquistati spesso in tutti i supermercati della zona, una buona dozzina.
Ovviamente non erano quelli di Bronte, e comunque una busta con molto meno contenuto l’ho sempre pagata tranquillamente quattro o cinque euro, qualità così così, tanti rinsecchiti e piccolissimi, col guscio ancora chiuso.
Questi qui invece anche un bell’aspetto, sono più grandi dei nostri, per l’appunto californiani… si presentano tutti aperti quindi danno poco scarto, assenti quelli rinsecchiti, il sapore è veramente ma veramente buono.
Alle obiezioni possibili, sono americani, costano di meno ma saranno delle schifezze, agli steroidi o dopati, vuoi mettere la qualità dei prodotti italiani etc etc mi rispondo: forse sì, forse no.
In un paese dove ogni volta che scavano, non importa cosa e dove, trovano una discarica abusiva di amianto, rifiuti pericolosi e falde acquifere inquinate dal cromo esavalente (sì, sì, quello di Erin Brokovich, cari Vorkutesi, poi guardatemi come una monatta se una volta al mese mi accendo una sigaretta) mi pongo sempre più raramente certi problemi.

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Un litro di latte intero, o anche parzialmente scremato, della Milbona, un loro marchio latticini/caseario, a 69 centesimi.
Mi sembra ci sia poco altro da aggiungere.
Costo di quasi un terzo inferiore a quello di una qualsiasi marca normalmente reperibile nei supermercati: anche quando si trovano in offerta, difficile trovarne di più economici.
Sapore buono, nessuna differenza rispetto alle marche comuni, anzi qualcuna ha un latte decisamente più insapore e acquoso.
Prodotto e confezionato in provincia di Verona.
Paragonabile o migliore del latte di maso del Sig. Heinrich su in Val Pusteria?
Ovviamente NO.

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Premesso che l'aglio fresco è insostituibile, ma anche deperibile, a meno che uno non si cibi direttamente di bulbi interi, è comodo tenere nella dispensa dell'aglio granulare essiccato, specie se un vasetto lo si paga 79 centesimi, cioè molto poco, e molto meno che ovunque in giro.
Testato più e più volte, é OK.
L'avrei preferito a piccoli pezzetti, so che c'è, ma non l'ho trovato, come non ho trovato la cannella, spezia molto usata e comune, imperdonabile grossolano errore al quale invito presto a rimediare.
Comunque tutte le spezie e gli aromi, ho dato una veloce occhiata, sono molto più economici che altrove.

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Zucchine italiane a 1,39€ al kg, fino a poco tempo fa il prezzo più tipico da queste parti era di 1,99€, forse adesso scenderà un po’, in teoria dovrebbe essere così.
Due parole sul reparto frutta verdura: ancora migliorabile, e già molto migliorato rispetto al passato, ma non ho trovato pere, non ho trovato patate, non ho trovato erbette.
Volevo riacquistare un cartoncino di carote bio Alma Verde, come la volta precedente, ma non c’erano, analogamente speravo di trovare ancora una confezione di pomodori cuore di bue siciliani presa l’altra volta, ottimi e ad un prezzo ottimo, ma non ce n’era ombra.
Messa in carrello confezione da 500 grammi di cipolle, sempre di Alma Verde, a 1,19€, 500 gr di fagiolini a 1,49€, melanzane a 1,69€ al kg.
A differenza delle zucchine non ho ben presente il prezzo medio di queste verdure, so solo che alla fine uscita con una borsa piena avevo speso in tutto 30,35€.
Una borsa piena di un qualsiasi altro supermercato, oramai vado a occhio, costa almeno, dico almeno, dieci euro in più.
Ah, il fatto che talora, non spesso, compri bio sembra fare a pugni con i terreni inquinati e le strampalate teorie di cui sopra, ma se non costa una follia in più la frutta e verdura bio mi sembra davvero abbia un sapore migliore.

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Gallette di riso bio integrali ricoperte di cioccolato al latte o fondente, una vera leccornia, buonissime, pericolose.
Meglio starci alla larga, come del resto da tutte le merendine merdine.
Queste però non mi sembrano così male a giudicare dagli ingredienti, e comunque non sono un prodotto molto sofisticato con creme, farciture, glasse.
Una confezione da 100 grammi contiene sei pezzi, al costo irrisorio di 89 centesimi.

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Tornerei a fare la spesa alla LIDL solo per fare scorta di questi dolcetti per niente stucchevoli: geniale l’accoppiata riso soffiato, poco saporito, con un sottile strato di cioccolato, il dolce poco dolce che piace a me.

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Confezione da 200 grammi di formaggio alle erbe, o meglio crema da spalmare (grande percentuale di panna), molto gustoso e saporito: nulla, proprio nulla da invidiare ai marchi delle grandi multinazionali dell’alimentazione, 1,19€.

to be continued, WordPress sta sclerando, non mi salva il testo che ho già digitato e ridigitato n. volte.
A wordpress serve un bell’aggiornamento per qualche bugs, problemi con i testi lunghi e diverse foto.

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I Fondamentali di una generazione

La Mucca Carolina, SusannaTuttaPanna, entrambi pupazzi gonfiabili in plastica, la bambola Patatina, il Cicciobello, il Dolceforno, le palline di Mao (ricordo quintalate di palline di Mao che andavano ad arrotolarsi sui fili elettrici quando scappavano di mano), giocare ad elastico, correre e saltare ad elastico con i sandali in camoscio chiaro a occhi di gatto, giocare a Mondo, ai Quattro Cantoni, a Palla Prigionieria, la bicicletta Graziella, i pattini a rotelle con la chiavetta per stringere i ganci di metallo e bloccare la scarpa, le vacanze al mare sulla Riviera Romagnola, la scoperta delle piadine, le cartoline con soggetto i cavalli, i libri (Vallecchi editore) di Astrid Lindgred e i telefilm tratti dai suoi libri, Pippi Calzelunghe ma, soprattutto, Vacanze all’Isola dei Gabbiani ambientato su un isolotto di un qualche arcipelago svedese, i volumi delle Favole Italiane raccolte da Italo Calvino, il libro “interattivo” degli Aristogatti, ovvero linguette di carta da tirare per far muovere i personaggi, i cartoni di Gatto Silvestro, il taglio di capelli con la scodella o, dalla parrucchiera, alla paggetto, il Piccolo Chirurgo, la mia prima hit “Montagne Verdi” di Marcella Bella fatta andare a manetta sul mangiadischi (solo per 45 giri) arancione portatile della Grundig, la raccolta di adesivi (tenuti in scatole vuote delle scarpe, contati e ricontati come banconote, scambiati, barattati, ceduti), i primi lucidalabbra appiccicosissimi nel loro “case” in similpelle che si portava attaccato al collo come una collana, il Ciao, rigorosamente solo bianco (famiglia di centrosinistra) o blu (famiglia di centrodestra), le Lacoste bianche o blu o al massimo azzurrine, le Tepasport – sparite dalla circolazione in pochi anni -, i primi maglioncini e magliette della Benetton in colori improbabili ed introvabili all’epoca, il fenomeno Nadia Comaneci, le Adidas con le tre righe laterali blu sulla tomaia, i polizieschi (pauraaaa) del commissario Maigret interpretati da Gino Cervi, Rischiatutto il giovedi sera e Sabina Ciuffini in minigonna, Tante Scuse, di Nuovo Tante Scuse con Sandra Mondaini e Raimondo Vianello e ridere a crepapelle, e comunque qualsiasi varietà del sabato sera, Mina e Alberto Lupo che cantano/duettano in televisione, Raffaella Carrà che balla il tuca-tuca, Mita Medici che finisce sotto il treno in Anna Karenina, Kabir Bedi con la bandana ed il kajal negli occhi in Sandokan e il pallore dell’eterea inarrivabile Perla di Labuan, le Barbie, l’orrendo costosissimo camper della Barbie, l’orrenda casa in orrenda plastica rosa della Barbie (per chi se la poteva permettere), la casa della Barbie fatta da me con materiali di recupero, i vestitini della Barbie, Ken con il suo rivale buzzurro Big Jim, Skipper sorellina teenager di Barbie, una vagonata di Lego sempre sparpagliati per terra, giorni interi a costruire, disfare e poi ricostruire città di Lego, le Bubble Gum, le Crystall Balls, il telaio fatto in casa dal papà per tessere/intrecciare la rafia, merenda con pane burro e zucchero, la raccolta di foglie e fiori secchi appiccicati in un quadernone a quadretti, i diari tutti cuoricini con il lucchetto e la chiavetta, la Polaroid Instamatic, le Clarks in camoscio blu o beige, la corrispondenza quasi ventennale con una certa Ivana di Reggio Calabria, mia coetanea mai conosciuta di persona che aveva messo un annuncio su un giornaletto per bambini per trovare amiche di penna, la corrispondenza con pen pals stranieri incentivata dalla scuola per praticare l’inglese, tra andare e tornare dall’Olanda o dalI’Inghilterra una sgrammaticata epistola grondante sudore e ditate sporche poteva stare in giro un mese o due, la raccolta di francobolli, di fossili, le sorelle più grandi delle mie amiche, tutte bellissime, tutte fatali, tutte irraggiungibili, tutte da imitare sognando di diventare come loro.
Poi un giorno diventare grande davvero, e rimpiangere tutto, e volere ritornare piccola e restarci per sempre.

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Il mio Paese

Certo che in questo buffo paese non rischio mai di annoiarmi, se non per i fatti miei.
Ogni santissimo giorno che Dio mi manda è un caleidoscopio di emozioni e sentimenti: colossali incavolature, rabbia, incredulità, spanciamenti dalle risate, mestizia e rassegnazione, indignazione, sdegno, auto imposta indifferenza.
Mi basta entrare ogni due ore nel sito di un qualsiasi quotidiano online.

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Vita e musica

Mentre pubblicavo il post precedente improvvisamente mi sono ricordata la definizione di me stessa che sento calzarmi meglio addosso e che mi sono trovata casualmente tanti anni fa, quando un amico musicista poi perso di vista mi ha regalato un CD per ampliare i miei orizzonti e le mie conoscenze e, devo dire, affinare i miei gusti.
Non lo ringrazierò mai abbastanza per avermi fatto conoscere quel disco, e adesso che ci penso, un peccato le nostre strade si siano separate.

Dunque, se qualcuno mi chiedesse di riassumermi in poche parole, di solito stè stronzate le fanno solo alle Human Resources delle tipette di vent’anni in tailleur e calze color carne quando cerchi un lavoro, mica te lo chiedono gli amici, io direi: an unfinished woman, che é il titolo di un brano contenuto in quell’album.

Mi sono sentita così, unfinished, per molti anni, e solo ora realizzo che quel processo non si è ancora completato.
Avrei giurato, allora, che intorno al giro di boa dei cinquanta, sarebbe stato completato da un pezzo.
Ah, illusa!
E constato che ci sono in giro ventiduenni molto ma molto più finite di me, quasi vecchie (probabilmente le stesse che stanno alle Human Resources, di certo la calza color castoro e il mezzo tacco non aiutano).

Ci sono stati periodi, anche molto lunghi, direi per la maggior parte della mia vita, nei quali ho amato la musica alla follia, e mi sono nutrita ed abbeverata di musica quotidianamente.
Semplicemente non potevo farne a meno, mentre adesso e già da tre o quattro anni la musica mi da quasi fastidio, e le mie centinaia di CD languono alla rinfusa in anonime scatole di cartone.

Questo disco che é un assoluto capolavoro e una pietra miliare nella storia della musica jazz, sicuramente rientra nei miei Top 20 di tutti i tempi, contiene brani tutti uno più bello dell’altro, da togliere il fiato, da pelle d’oca.
Per combinazione For an unfinished woman è, insieme a My Funny Valentine, il migliore.

Ho voglia di risentirlo, domani magari collegare lo stereo e spacchettare i cartoni con i miei CD, e sarebbe anche ora di cominciare a catalogarli, come più di una volta ripromessami.
In quei cartoni giace la colonna sonora della mia vita.
Loro sono Chet Baker e Gerry Mulligan, concerto al Carnegie Hall.
Correva l’anno 1973 o 1974.

Chissà che mi ritorni anche la fregola della musica, qui ogni lustro si cambia gusto.

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Compleanno e bilancio di vita

Pochi giorni fa è stato il mio compleanno e, specialmente quando si galoppa sempre più vicino all’impegnativo non facile traguardo del mezzo secolo, credo sia naturale porsi degli interrogativi, o che sorgano spontanee alcune riflessioni alle quali sia difficile sottrarsi.

La cosa bella degli anni che passano, e ce ne sono anche diverse, ma certo non potevo crederlo o immaginarlo a venti o a trent’anni, é che, venuta meno la sensazione di essere immortali e di avere a disposizione un tempo illimitato per fare cose o rimediare ai propri errori, si cerca semplicemente di vivere meglio, di volersi più bene, di sfrondare l’esistenza da tante cose, ricordi, problemi, situazioni inutili.
Si regredisce in un certo modo a un livello più animale, primitivo, basico, essenziale, si diventa perciò, secondo me, migliori.

L’accettare se stessi, il misurarsi con i propri limiti si trasforma finalmente in un processo pacifico e molto poco ansiogeno.
Non necessariamente è più facile il rapporto con le altre persone, e non perché si diventi intolleranti (io un po’ si, lo sono diventata ), solo selettivi: le persone si scelgono.
Solo quelle che fanno stare bene, che regalano armonia, equilibrio, benessere, le persone con le quali esiste reciprocità, e non credo possano essere tantissime se non accontentandosi molto.
Si ha smesso da tempo di lottare per chi non ci vuole, per chi non ci merita, o magari ci vorrebbe, ma senza accettare quello che siamo e i fardelli che ci portiamo appresso.

I giorni e gli anni passati lasciano tracce meno indelebili, certi files vengono proprio rimossi dalla memoria centrale, o archiviati, catalogati in apposite cartelle.
Il futuro non esiste oltre all’indomani e, se non é arteriosclerosi, questa è una sensazione molto bella, di leggerezza finalmente, di viaggiare per destinazione ignota ma verso il sole con il solo bagaglio a mano.

Si ridimensionano eventuali sogni e ambizioni eventualmente ancora presenti, si accetta meglio la propria mediocrità, normalità od insipienza, però finalmente ci si rispetta e si esige lo stesso dagli altri, rispetto.
Ci si concentra sull’essenziale, sulle cose davvero davvero piccole ma quotidiane, ci si rende conto che ogni giorno deve portare (o ci si deve trovare) almeno una piccola gioia, una piccola gratificazione.

Si vive molto più facendosi trasportare dalla corrente e dagli eventi che non pianificando eccessivamente o troppo nel lungo periodo, tanto molte volte le cose succedono e basta.
Io poi, non avendo il dono della fede né una cieca fede nella Ragione, sono sempre più convinta che a governare il mondo sia molto più il caos primigenio, l’entropia, che non la logica e la consequenzialità del causa effetto o il Disegno di Qualcuno.

Ho sbagliato tantissime cose in questa vita, e di Vite non credo ne avrò altre, e forse nemmeno me lo auguro visto che, come dice il bellissimo titolo di un film (non visto), quando sei nato non puoi più nasconderti.
Quando sei nato poi ti tocca correre, e e giocare, e nessuno te l’aveva chiesto, ma oramai ci sei e puoi solo usare le carte che ti escono, anche quando sono così così o fanno proprio schifo.
Oppure qualche carta è discreta, ma te le giochi davvero male, e poi non ci sono altre mani, e questa è la sconfitta che brucia maggiormente, il boccone che non va giù, il rimpianto che spesso riaffiora.

Ho commesso tanti errori in quasi ogni settore della mia vita e, essendo impietosa con me stessa forse più che con gli altri, non me li perdonerò mai del tutto.
Di qualcuno ne pago ogni giorno le conseguenze, ad altri sono riuscita a mettere una toppa, alcuni nel lungo periodo non sembrano manco più sbagli ma solo la cosa più saggia che potessi fare, anche se degli eventi dai quali i miei sbagli sono scaturiti ne avrei fatto volentieri a meno.

Io non so che bilancio fare della mia vita, ignoro cosa abbia in serbo per me, e non mi aspetto nulla di che o, forse, mi vergogno ad ammettere in sincerità ed onestà che questo bilancio è: così così.
Senza entrare nei dettagli, senza elencarne il perché.
A scuola sarebbe stato un sei meno meno.
Le vite degli altri, dicono, sembrano sempre meno imperfette della propria, bah.

Comunque, se non per la taglia smilza, la compattezza della pelle, il color miele naturale dei capelli e le emozioni da tsunami, uniche, irripetibili e ancor oggi indecifrabili di un primo amore nel quale ogni tanto ancora mi piace perdermi e trastullarmi con fantasie e ricordi, io non tornerei mai indietro agli alti e bassi dei miei vent’anni.
Farei comunque farei parecchie scelte diverse.

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Archiviato in Ho un'opinione su quasi tutto (ed accetto possa non essere condivisa, con garbo), Outlet valve